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Viaggio fotografico in ambienti desertici


La fotografia nel deserto – di Roberto Caucino

Con la giusta tecnica ed un minimo di senso estetico non è difficile raccogliere buone immagini del deserto. Meno facile è invece uscire dai soliti stereotipi popolati da palme e cammelli per raggiungere uno stile personale.

Prima di illustrarvi la tecnica che seguo desidero evidenziare che le immagini che ricerco e che accompagnano l’articolo non hanno fine documentaristico, ovvero non sono state realizzate con l’intento di illustrare una determinata area geografica o, più in generale, l’ambiente tipico delle zone desertiche. Dune, sabbia, ombre, contrasti sono invece stati il palcoscenico per rappresentare il senso di pace che chiunque può percepire in un viaggio nella pura essenzialità di queste lande.

Dove.

Per definizione un deserto è una zona arida, cioè con precipitazioni molto limitate e circoscritte; in questo senso comprende sia i deserti caldi (dal celeberrimo sahara ai deserti costieri del Cile) sia quelli freddi (le tundre dell’estremo nord ed i poli stessi). Nell’immaginario collettivo il deserto si associa comunque con le sterminate distese di dune tipiche di alcune zone del sahara o della penisola arabica. Non dimentichiamo infatti che buona parte del nord africa è occupata da altopiani sassosi (definiti hamada) mentre i “mari di sabbia” veri e propri (chiamati erg) sono solo il 20% del totale. Anche se in Namibia, nel taklamakan, in Australia o nella penisola arabica esistono ampi deserti sabbiosi, per vicinanza geografica ed infrastrutture a disposizione dei viaggiatori, sono i deserti del nord africa ad essere quelli più semplici e comodi da visitare.

Come.

Qualunque fotografo appassionato sa che per un lavoro ben fatto è indispensabile la concentrazione e la tranquillità che solo un viaggio solitario può offrire: compagni che ti osservano spazientiti mentre cerchi l’inquadratura ottimale non sono certo una gran fonte d’ispirazione, anzi… Ma se un reportage in solitaria di Londra o della Toscana è facilmente organizzabile ben altro discorso è andare a zonzo per il tenerè per i fatti propri! Facendo di necessità virtù i casi sono i seguenti: 1) si tiene come base una delle tante “porte del deserto” (come amano autodefinirsi, per aumentare la propria attrattiva turistica, le municipalità poste ai lembi delle zone desertiche: si possono trovare dal Marocco all’Egitto) e da esse si compiono escursioni, da poche ore a più giorni, all’interno del confinante erg; 2) ci si aggrega ad un viaggio organizzato e si tenta di ritagliarsi dei momenti da dedicare agli scatti; 3) ci si reca direttamente in una delle città da cui partono i tour più famosi (Tamanrasset in Algeria, per citarne una) e si apre il portafoglio per pagarsi in loco una (costosa) escursione personalizzata sui tempi del reporter.

Quando.

Se siete votati al martirio ed avete le ferie solo ad agosto il tropico del Cancro vi attende con i suoi 50° all’ombra! In altri casi i mesi più frequentati sono da fine ottobre ad inizio maggio. In autunno il pericolo di pioggia (o almeno di cielo nuvoloso) aumenta; sembra assurdo ma anche in pieno deserto la pioggia potrebbe essere un problema: le precipitazioni sono infatti a prevalente carattere temporalesco ed il letto asciutto di un “wadi”, che la sera precedente poteva apparire un ottimo posto dove piantare le tende, il mattino seguente si potrebbe trasformare nel greto di un torrente che si è riempito nel frattempo con mezzo metro d’acqua! Inoltre con la pioggia la sabbia si trasforma in fango, con ovvie conseguenze per i mezzi di trasporto che non siano a quattro zampe. L’aspetto positivo è comunque che i fenomeni hanno breve durata ed un sole splendente non tarda mai ad asciugare sabbia e tende. L’inverno è forse la stagione preferita dagli appassionati: il tempo in genere è stabile e soleggiato, di giorno le temperature sono gradevoli, l’aria è limpida e pulita, le notti sono un trionfo di stelle… attenzione all’escursione termica in modo particolare nella zona settentrionale del sahara: se di giorno è normale avere 20/25°, è altrettanto normale vedere il termometro scendere sotto zero durante la notte (al sottoscritto è capitato di svegliarsi, dopo una notte sotto le stelle, con il sacco a pelo ricoperto di brina!).
La primavera potrebbe essere la stagione ideale, attenti però alle tempeste di sabbia, un vero incubo che può impedire ogni movimento per più giorni.
A che ora fotografare? Chiaramente all’alba ed al tramonto, quando la luce bassa del sole mette in risalto la texture del terreno e i contrasti sono più accentuati. Ma ogni ora è buona, anche per fotografare il deserto sotto un anomalo cielo carico di pioggia…

L’attrezzatura.

Sono un fautore della “borsa leggera”, che diventa spesso un semplice zainetto con due corpi macchina e due obiettivi zoom di buona qualità. Per trovare l’inquadratura “magica” è necessario spesso camminare (anche per centinaia di chilometri!) su e giù per dune alte fino a 200/300 metri e composte da una sabbia che spesso impone il 3x2, ovvero fare tre passi per salirne in pratica due perché nel frattempo si scivola inesorabilmente verso il basso… Il tutto chiaramente sotto un sole implacabile e temperature fino a 40°.
Non è quindi il caso di portarsi appresso un 600mm o un set Linhof per intenderci (anche se potrebbe fare la differenza: la sfida è aperta). Per le pellicole credo che la scelta dovrebbe cadere su quelle a grana finissima ed alta definizione (Fuji Velvia o Kodachrome per intenderci), la luce infatti non manca e la texture della sabbia è magnifica se rilevata da supporti adatti. A proposito di sabbia: visto il problema “graffi” (cfr. il prossimo paragrafo) direi che la macchina digitale potrebbe essere un’ottima soluzione, almeno per chi accetta la qualità delle immagini digitali che è, come dire… ancora in evoluzione.

Pericoli.

Qualunque gita “fuori porta” espone il fotografo e la sua attrezzatura a potenziali rischi: da quelli più banali ed evitabili a quelli che solo la cattiva sorte può costringerci ad affrontare.
Pensando al deserto ci viene spontaneo credere che il nemico numero uno dell’attrezzatura fotografica sia il caldo: in realtà è la sabbia l’avversario più subdolo. Essendo finissima (ma raramente polverosa) viene facilmente sollevata dal vento ed entra sorprendentemente ovunque: lo si nota ai pasti per il caratteristico “cricchiare” tra i denti e lo si nota, ahimè, una volta sviluppata la pellicola. Sono infatti da mettere in conto le righe lasciate sulla gelatina da microscopici granelli di silice che sono riusciti a penetrare nel vano pellicola, nonostante maniacale attenzione e macchine tropicalizzate. In questo caso l’unica salvezza è “pulire” l’immagine con un programma di fotoritocco; in ogni caso il negativo originale è perso…



Venendo a pericoli più seri (e lasciando da parte il discorso furti che se si è adulti e vaccinati si dovrebbe conoscere bene) citerei: la disidratazione che non è mai da sottovalutare perché può essere causata o da scarsa idratazione ma peggio da una violenta diarrea che purtroppo non è cosa rara tra i viaggiatori occidentali nei paesi esotici. Se il problema non si risolve da solo in 12/24 ore certamente i farmaci che bloccano il sintomo possono risultare utili ma a patto che siano solo soluzione temporanea in attesa di una cura più efficace a base di antibiotici.
Non voglio citare gli scorpioni che in genere stanno per i fatti loro (che può anche significare andare a dormire nei vostri scarponi se li lasciate poco astutamente fuori dalla tenda durante la notte…) voglio invece ricordare che pericoli diciamo “antropici” esistono in particolare tra Algeria e Niger dove bande di “ladroni” usano saccheggiare comitive di turisti poco avveduti. Il pericolo esiste anche se non è in realtà così diffuso; ben più minacciosa è invece una tipica umana debolezza: la presunzione. Ogni anno molti “avventurieri” fai da te non tornano dalle loro ferie: non lasciare mai da soli la traccia delle piste ed essere sempre organizzati e guidati solo da esperti.

Cosa.

Ripeto: riferendomi alle mie immagini, non è mio scopo documentare bensì trasmettere, attraverso grafismi, giochi di ombre e prospettive, la sensazione che pervade profondamente il viaggiatore di questi infiniti spazi: la purezza dell’essenzialità. Non sono un poeta delle parole e non me la cavo neppure in prosa, preferisco concludere quindi con una frase di chi il deserto lo conosceva bene, anche nell’anima: “La perfezione non è un processo additivo, la si raggiunge invece sottraendo tutto quello che non è necessario, nulla di più” Antoine de Saint-Exupèry.

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