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work > 5/11/03 utente: non registrato

"Mongolfiere"
Fotografo: Roberto Magni
Dicono che mille anni fa certi monaci irlandesi si lasciassero trasportare su una barca senza remi dal gioco delle correnti, andando alla deriva. Dove il mare li depositava, lì sbarcavano e predicavano. In questa loro fede assoluta c'era non solo una fiducia illimi-tata nell'Altissimo, ma anche una predisposizione dell'animo, una capacità di lasciarsi andare che il mondo di oggi non conosce più. Poi vennero i fratelli Montgolfier, nel secolo dei lumi, mostrando per la prima volta che l'uomo può navigare anche nel cielo, e che si possono governare le correnti. Le loro prime ascensioni dimostrative, compiute sotto lo sguardo incredulo di folle curiose, colpirono anche la fantasia dei poeti. Vincenzo Monti scrisse, più di duecento anni fa, un'ode celebrativa in cui, immaginando di affacciarsi dalla navicella che si alza sempre di più, dice: "fosco di là profondasi / il suol fuggente ai lumi / e come larve appaiono / città foreste e fiumi". Lo sguardo del cosmonauta che vede rimpicciolirsi le case e i paesi, mentre la corrente del vento rapisce la mongolfiera per guidarla attraverso rotte invisibili, tradisce ancora oggi la stessa emozione.



















Ma non è più tempo di frati irlandesi: la navicella ha zavorre e valvole, che permettono di scendere a patti con la casualità dei venti, e il timoniere si alza e si abbassa a suo piacere, anche se non può andare controcorrente. Non si arrende al tutto, non è come una foglia che il vento trascina via: la deriva è controllata, e c'è un equilibrio bellissimo, che cambia di attimo in attimo, tra il mondo intero e la navicella. Gli aeronauti si lasciano trasportare con fiducia da un filo d'aria o dal vento impetuoso perché sanno che comunque, quando vogliono, è consentito loro scendere; ma la bellezza del gioco consiste nel prolungare il più possibile quell'equilibrio fragile, dina-mico, altalenante, tra la navicella e l'oceano dei venti. E i movimenti avvengono con dolcezza, senza strappi o sussulti, accentuando la sensa-zione di essere una parte del tutto, docili fibre dell'universo, in armonia con la natura. Quando Roberto Magni partecipa a regate d'alta quota, assecondando i venti per lasciarsi trasportare lontano, sente il bisogno di fermare, di bloccare in una immagine che rimanga quella pace che si sperimenta momento per momento, quel senso di libertà di fronte all'infinito, quell'apertura di spazi che cambia continuamente di prospettiva, quell'equilibrio altalenante che si rimette in gioco minuto per minuto. Tuttavia le sue foto non sono descrittive, documentarie. Non più schiacciato dalla forza di gravità, il fotografo scatta in libertà, lasciandosi andare alle emozioni. Di quello scorcio coglie, come in un flash, l'esplosione del colore; da quella prospettiva dondolante scorge, come su uno schermo, un paese che emerge nella foschia; inse-guendo una nuvola intravede valli e convalli una dietro l'altra; nella scia del vento fotografa, come in una processione, la fila ordinata delle mongolfiere. Così, alcune immagini sembrano grafica pura, altre ricordano le illustrazioni scientifiche, altre infine sono particolari e suggestive visioni paesaggistiche. I frammenti di mondo terreno che emergono tra uno scorcio e l'altro sono come isole lontane alle quali si ancora per pochi attimi lo sguardo, prima di cambiare orizzonte. Le foto sono come tante ancore gettate nelle rade del cielo per fermare istanti fuggenti. In ognuna di esse ritroviamo ritmi, colori, emozioni, visioni colte tra scendere e salire, che qui si trasformano in immagini per trasmettere altri ritmi, colori, emozioni, visioni in equilibrio tra restare e partire.


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