Voyeurisme

Per quanto ci si sforzi di definire questo vizio in maniera univoca, è difficile tracciarne i contorni. Il piacere di guardare, o di spiare il corpo, l’accoppiamento...
La modernità ha affidato l’espressione istituzionale di questa devianza – appena tollerabile in quanto motore di un mercato vasto e produttivo – alla varia produzione della pornografia. Il giornale, il film, hanno sublimato la pulsione, regolamentandone la carica eversiva vissuta nell’interiorità, depotenziando il carattere privatissimo del vizio nelle irreggimentazioni della compravendita e del mercato.
Ai lati, alla periferia estrema ed irrecuperata, il vizio irriducibile del maniaco da parco – non a caso beneficiato di una tale definizione – dello spione di coppiette, la cui masturbazione è sospinta ai limiti della criminalità, prossimo, per il suo colpevole comportamento, più all’omicida che al normale utente del porno diffuso.
All’estremo diametralmente opposto, eppure, in un’ottica funzionale tutto sommato scoperta e comprensibile, il bisogno opposto, quello di mostrarsi, quello di mostrare la propria identità sessuale, o, meglio, di inscenarne una fittizia, in larga parte incorporea, serbatoio di fantasie inespresse, di orizzonti lontanissimi dalla sessualità esperibile nell’abisso della materialità e del reale.
Internet ha rappresentato, nel contempo, il territorio privilegiato di riproduzione infinita ed incontro di queste due pulsioni. Il virtuale ha prodotto comportamenti nuovi, la webcam ha segnato il nuovo confine di un voyerismoesibizionismo di limite, trascinando in un’esaltazione compulsiva il vissuto del vizio finalmente estremizzato e trasmutato in comportamento socializzato, condiviso. Sostanzialmente accettato in un ambito in cui si mantiene artificialmente viva una condanna culturale - la finzione del “vietato ai minori”, mai come su internet largamente ignorato ed ignorabile – il vizio si depotenzia in comportamento e mercato.
La room a pagamento.
O anche gratuita, laddove è a pagamento tutto il resto.
Fotografare un’immagine da schermo è sempre stato, in qualche modo, un distorcere il falso della rappresentazione svelandone il sostrato di menzogna. L’uomo catturato dal fotogramma di una pellicola non è l’uomo che occupa uno spazio fisico ed interiore sul pianeta. L’immagine umana catturata da un fotogramma che riprende un fotogramma denuncia sé stessa quale latrice della menzogna suprema del finto che falsifica il finto. In quell’uomo non c’è nulla di un uomo.
Il pixel ripreso su pellicola risveglia il senso vivo e pulsante della menzogna.
Una distorsione ripetuta, una bistorsione, un gioco di specchi, estende il dubbio dello spettatore – ed ancor più del fotografo – sullo statuto ontologico di ciò che si immagina di riprendere.
Cosa sto facendo?
Cosa sto vedendo?
Il gioco ripreso perde la eco ultima della sessualità vissuta. Il vizio insidiato dalla distorsione si diluisce progressivamente fino a scomparire; il simulacro dei corpi si perverte in pura essenza cromatica, macchia. Il corpo devastato dell’orgasmo rappresentato e poi ulteriormente falsificato, è ombra che si denatura nella bidimenisionalità approssimativa dello scatto impreciso, sfocato.
Emerge poi, inaspettato, un protagonismo imprevisto degli sfondi.
Oggetti comprimari dai contorni confusi invitano a decrittazioni immaginifiche. Forse sono elementi casuali irriducibili alla rappresentazione, dotati di volontà e identità propri, forse sono tracce della narrazione che ha portato un intreccio di anime e di umori all’evento raffigurato, forse sono il pegno visibile e segreto di una complicità che l’attore esige dal voyeur, forse sono un artificio di cui nessuno vuole assumersi la responsabilità...

Foto di maglione

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